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Yoga e disabilità, binomio possibile

Unire yoga e disabilità non è poi così impossibile. Anzi, si può fare, come si direbbe in un film di vecchia data. “Lo yoga, in sanscrito, significa unione con l’universo, con la terra, ed è benessere”, ci spiega Patrizia Saccà, campionessa di tennistavolo e istruttrice yoga. Tra le altre cose, anche autrice di Yoga a raggi Liberi, un libro nel quale “presento il saluto al sole” per le persone con disabilità.

Yoga e disabilità, semplice e benefico

La domanda sorge spontanea, ma ci pensa proprio Saccà a darci la risposta, che ha preso le 12 posizioni del saluto al sole e le ha riadattate alle persone disabili. In questo modo “possono essere utilizzate sia da persone che hanno una sedia a rotelle, sia da persone che invece sono in ufficio, a un convegno, sia dagli studenti che sono seduti da tante ore”.

Un accostamento, quello tra yoga e disabilità, che ha delle proprietà benefiche importanti. Anche perché lavora “sulla colonna vertebrale, sulla parte mentale, sulla parte del collo”. Quindi “sia da una parte del corpo materico fino ad arrivare al corpo sottile, che si percepisce come vibrazione”.

Un percorso adatto a tutti

Un concetto importante da sottolineare è l’accessibilità di questa pratica. “Nel mio gruppo di yoga – ci racconta Saccà – ci sono persone di tutte le età. Dalla signora di 84 anni alla ragazza di 23 anni, persone con disabilità, tra cui paraplegia, oppure con un altro tipo di disabilità, e persone normodotate, che fanno yoga seduti”.

Giudicare il libro dalla copertina

Stavolta facciamo un’eccezione alla regola. Perché sì, questo è un libro che va giudicato dalla copertina. Yoga a raggi Liberi, infatti, ha impaginata una “foglia d’oro che attraversa il mio corpo”. A riprendere allegoricamente la tecnica giapponese del kintsugi, “l’arte per decorare un vaso che viene rotto e a un certo punto viene decorato con una foglia d’oro”. Una figura “che diventa la preziosità del mio corpo rotto. La mia paraplegia è diventata un vaso prezioso e spero ed auguro, come dico nel libro, che diventi una forma di resilienza per tutte le persone che in qualche modo si devono trovare ad affrontare qualcosa di molto importante”.

Patrizia Saccà ed Heyoka

La scrittrice sarà nostra esperta Heyoka. “Faremo un po’ uno Yoga a puntata – rivela alla nostra telecamera -. Dove comunque si potrà fare yoga a raggi liberi nelle famiglie, nelle case, ovunque si voglia. Ci sarà questa opportunità molto bella di poter lavorare tutti assieme”.

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Partecipa anche tu al Camp Giocabile

Il Camp Giocabile è un evento estivo indirizzato alle ragazze e ai ragazzi con disabilità che vogliono cimentarsi con varie discipline sportive, immersi nella natura. Dal 15 al 21 luglio 2019, infatti, a Cagli (Puglia) il Settore Asi Sport Disabili – in collaborazione con La Fenice Coop Sportiva Sociale -, ha organizzato un camping estivo completo sotto ogni punto di vista.

Cosa si farà al Camp Giocabile

Le parole chiavi del Camp Giocabile sono due: sport e natura. La settimana, infatti, punterà a far entrare in contatto i partecipanti con diverse attività sportive (calcio, pallavolo, nuoto, basket, giochi outdoor e di gruppo). Il tutto accompagnato anche da escursioni alla Gola del Furlo e nei pressi del Fiume Burano.

Gli obiettivi

Il Camp Giocabile ha molteplici scopi benefici per i giovani con disabilità che ne prenderanno parte. Principalmente, impatta su diverse sfere:

  • sportiva. I ragazzi impareranno a confrontarsi in diverse attività ludico-sportive, imparando a conoscere di più il proprio corpo e tutte le possibilità di movimento;
  • relazionale. Ogni partecipante entrerà in contatto con altre persone, migliorando le proprie capacità comunicative e relazionali;
  • emotiva. Facendo parte di un gruppo, l’iscritto conoscerà più approfonditamente non solo le proprie emozioni nei confronti di sé, ma anche verso il prossimo;
  • sociale. Essere coinvolto in un gruppo consegnerà al ragazzo con disabilità il valore di individuo in quanto inserito nella società.

Durante il percorso, tutti i ragazzi saranno seguito dagli Operatori Sportivi per la Disabilità Asi di Livello Master, insieme al coordinatore psicologico che sarà sempre presente in struttura. I referenti principali sono:

  • Ilaria Boccaleoni, coordinatore Camp Giocabile;
  • Monica Ghirardini, operatore Asi Sport Disabili;
  • Dory Domenichini, operatore Asi Sport Disabili;
  • Dott.ssa Sabrina Molino, coordinatore psicologico Settore Sport Disabili Asi.

Tutti i dettagli del camp estivo

Se sei arrivato fino a qui, significa che sei realmente interessato a questo evento. Perciò, di seguito, troverai ulteriori informazione che ti aiuteranno a prendere una decisione completa.

  • La Cooperativa Macina si occuperà di vitto e alloggio direttamente in struttura, che sarà “La Terrazza del Burano“.
  • Il costo è di 350 euro, comprensivo di kit camp, assicurazione, vitto e alloggio dal pranzo di lunedì al pranzo della domenica, attività sportive, escursioni e attività ricreative-sociali.
  • Anche i genitori possono prendere parte all’iniziativa in struttura, con attività predisposte e la possibilità di passare del tempo con i propri figli durante i pasti (per info, chiamare la dott.ssa Molino al 3490888720).
  • Per l’iscrizione è possibile contattare settoresportdisabili@gmai.com oppure chiamare al 3202625279 / 3490888720.
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Sensuability, parliamo di disabilità e sessualità

Sensuability, per parlare di sessualità, sensualità e disabilità. Temi centrali e complessi, spesso presenti nel dibattito sociale italiano – meno in quello politico. Ma andiamo con ordine, con le parole di Armanda Salvucci, ideatrice del progetto: “Sensuability è nato tre anni fa da un’esigenza mia personale, è un tema (sessualità e disabilità, ndr) che mi tocca molto da vicino. E dal vedere e sentire come se ne parla. Su questo tema in particolare, ci sono una marea di stereotipi“. Preconcetti non facili da gestire, in quanto “ingabbiano. Come se cominciassi a sentire troppo stretta questa gabbia”.

La mission di Sensuability

Affrontare tematiche simili non è affatto semplice. Al centro delle varie sfaccettature di costume, ci inseriamo in un contesto prevalentemente spinoso, che inquadra numerosi concetti in tema di diritti. Tuttavia, serve scardinare l’alone di mistero attorno la questione. E, infatti, la mission di Sensuability è “parlare di questo argomento attraverso tutti i linguaggi creativi: cinema, pittura, fotografia, fumetto”.

La scelta di affrontare il binomio sessualità-disabilità in questo modo non è casuale. Per Salvucci, serve che la figura del disabile sia raccontata “in modo differente”. Anche perché, oggi come oggi, la raffigurazione idealista di una persona con disabilità non è priva di cliché. Di fatto, gli individui disabili “vengono sempre rappresentate come o supereroe oppure la vittima poverina”. Serve cambiare, così facendo anche l’accostamento sesso-disabile avrà una designazione completa. “Il mio desiderio più grande è che non se ne parli più, vorrei che si cominciasse a considerarla (sessualità e disabilità, ndr) come una cosa normale“.

Come si può parlare di sesso e disabilità

“Io voglio parlare di questo argomento”, ci tiene a sottolineare l’ideatrice di Sensuability. Già, ma come? Tenendo presente il contesto italiano, il rischio è di mercificare il tema o tornare nei confini differenziali del tabù. Quindi, quale può essere la soluzione? “Ridendo, alleggerendolo. Perché, secondo me, così il messaggio passa. Se io l’appesantisco, allontano le persone”. Anche perché “non è alleggerendolo che gli tolgo importanza”.

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La scrittrice Anna Adamo per la disabilità senza limiti

Apro la mail e mi appare il nome di Anna Adamo. Leggo il contenuto, la storia di una scrittrice con tetraparesi spastica di 22 anni. Vive a Scafati, in provincia di Salerno, e frequenta la facoltà di Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Salerno.

Negli ultimi anni, però, il nome di Anna Adamo risuona ovunque per via del suo libro autobiografico, La Disabilità non è un Limite. Un titolo, quasi uno slogan, affine al concetto di Disabilità Positiva di Heyoka. “La cosa più bella che possa esistere – mi dice Anna Adamo al telefono -. Perché di disabilità si parla poco. Quando se ne parla in maniera positiva, a me piace molto di più”.

Secondo te, Anna Adamo, che cos’è la Disabilità Positiva?

“È la capacità di reagire a una condizione che spesso può essere invalidante. Ovvero trasformare quella condizione che può essere invalidante non in un limite, ma in un punto di forza. In un qualcosa da insegnare agli altri”.

Tu hai scritto proprio un libro su questo, il cui titolo è abbastanza evocativo. In che senso la disabilità non è un limite?

“La disabilità non è un limite nel momento in cui noi stessi facciamo di tutto affinché non lo sia. O meglio, andiamo oltre i limiti che la vita ha cercato di imporci. Se si vuole si può fare tutto, certo. La persona con disabilità lo fa con qualche difficoltà, però comunque riesce a farla in qualche modo. Volere è potere”.

Qual è stato l’impulso che ti ha motivato a scrivere un libro di questo tipo?

“Proprio dall’aver visto che di disabilità se ne parla molto poco o in maniera superficiale. Perché non si dà spazio alle testimonianze dirette, non c’è ascolto. I disabili molto spesso non sono ascoltati, non sono neanche ascoltate le famiglie di questi ultimi. E nella maggior parte dei casi vivono in condizioni di disagio o di difficoltà“.

Però possiamo convenire che da 10 anni a questa parte si parla un po’ di più di disabilità, anche se con un sentimento pietistico. Secondo Anna Adamo, quali sono quegli argomenti che fanno fatica a emergere?

“Più che tanti argomenti, ci sono tanti tabù. Secondo me oggi la disabilità, per quanto siano stati fatti dei progressi, è ancora considerata un mondo a parte, non una parte del mondo. Ad esempio, ci sono ancora problemi per quanto riguarda gli insegnati di sostegno. Non è possibile che solo un ragazzo su tre abbia un insegnante di sostegno per poche ore a settimana. Questo è impensabile, così come i tagli che sono stati fatti per quanto riguarda la fisioterapia. Ci sono ragazzi disabili che vivono attraverso la fisioterapia e saltare un giorno di fisioterapia per loro significa tornare indietro, quindi mollare tutti i progressi fatti nel corso degli anni”.

Immagino che riporti anche tutto questo nel libro.

“Racconto la mia esperienza, quelle che sono state tutte le difficoltà, i numerosi interventi chirurgici, ma anche il rapporto con gli altri. Perché poi, quando si è disabili va tutto bene fino a quando si è tra le quattro mura insieme alla famiglia, la quale magari cerca di non far pesare la condizione. Però i problemi nascono quando si fuoriesce da questo ambiente. E così si affronta il mondo della scuola, laddove molto spesso i ragazzi disabili non sono accettati, visti come un ostacolo. A me è capitato da piccolo che gli insegnanti non vollero portarmi in gita perché ritennero che io rallentassi il loro percorso”.

Quali sono stati i riscontri in merito alla tua pubblicazione?

“Sono stati veramente positivi, devo dire sono davvero tante le persone che mi scrivono sia per complimentarsi, per dire che attraverso la mia esperienza loro hanno il coraggio di reagire, di fare cose che mai avrebbero pensato di fare, e sia persone che mi scrivono per chiedermi qualche consiglio. Molto spesso sono dei genitori che non sanno come affrontare un determinato problema, e chiedono un consiglio per capire da dove iniziare”.

Anna Adamo, tu relazioni il concetto della femminilità con quello della disabilità. Secondo te, che cos’è la bellezza universale?

“La bellezza è un qualcosa che appartiene a tutti. La bellezza non è avere un corpo perfetto, risiede soprattutto nelle imperfezioni. Nella capacità di abbracciarle e cercare di trasformare il perfezione. Ma la perfezione non è altro che lo stare bene con sé stessi e con il proprio corpo. Quindi la capacità al non rinunciare di essere donna nonostante una disabilità”.

Nel momento in cui ottenessi il ruolo di avvocato o giudice, quale sarebbe la tua prima operazione sociale per la disabilità?

“Innanzitutto favorire l’inclusione mediante un percorso di tipo culturale. Inserire in primis all’interno delle scuole dei percorsi formativi, degli incontri tra ragazzi disabili e normodotati affinché ci sia confronto, affinché si faccia capire alle persone normodotate che la disabilità non deve essere vista come una paura, ma come un qualcosa di normale, qualcosa che può insegnare e dalla quale poter trarre degli insegnamenti. Poi c’è bisogno di leggi: è impensabile che ai disabili si diano 280 euro al mese. È necessario un aumento delle pensioni d’invalidità. E ci sono le barriere architettoniche: ragazzi in carrozzina sono costretti a stare in casa perché le nostre strade non sono adatte alle persone disabili, sono piene di dossi, hanno marciapiedi alti, molto spesso non ci sono le discese. In alcuni parcheggi non c’è neanche il posto per disabili. Questo non va bene, ci vuole un’obbligatorietà”.

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L’Autismo non è un insulto

L’Autismo è l’argomento del giorno. Certo, oggi è la Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo 2019, ma la parola – assieme ad Asperger – è spesso e non volentieri al centro delle cronache italiane. Ultimamente non solo per la questione dei vaccini e dei novax, ma anche per esternazioni di diversi personaggi pubblici, che mettono in campo queste condizioni in toni denigratori.

Autismo, quando lo scherno è quotidiano

Uno scherno di cui, ad esempio, è già stata vittima Greta Thunberg. E che non inquadra solo i personaggi noti al grande pubblico, ma che confluisce anche nelle nostre vite quotidiane. Basti pensare alle sfaccettature di espressioni colloquiali come “Avere un disagio autistico” o “Oggi sono un po’ autistico”. Tutte usate principalmente per schernire il nostro incedere improvviso nei ragionamenti, nel linguaggio e nei movimenti. Diventando, di fatto, una derisione indiretta verso l’autismo.

Ecco, questo non va bene. Perché così si esprime una cultura che vede nella disabilità un errore o, addirittura, un limite da usare come esempio per farsi quattro risate. Un contesto che tende ancor di più a contrastare – anche volontariamente – l’integrazione sociale di persone che, già di per sé, vengono spesso tagliate fuori dalla società

Come possiamo arrivare alla Disabilità Positiva?

La risposta è semplice: smettiamola di pensare all’Autismo come a una condizione puramente invalidante. Per farlo, bisogna studiare a approfondire cos’è l’autismo, l’asperger, lo spettro autistico e via discorrendo. Ed è un discorso che può essere allargato a ogni tipo di disabilità, e che riguarda tutti. Migliorare il nostro approccio con la cultura, ci permette di ampliare il senso di integrazione e inclusione sociale. E, quindi, accettare ed esaltare la disabilità con i suoi tratti positivi. Quelle stesse differenze che, in quanto tali, vanno elogiate, e non mercificate.

Una consapevolezza positiva che arriva anche dalla Giornata mondiale sull’autismo e dal suo colore caratteristico, il blu. Come fosse l’alfabeto, conoscere l’Autismo permette di migliorare la nostra empatia nei confronti del prossimo. Capire, in sostanza, se si sta dicendo o facendo qualcosa di discriminatorio nei confronti di una persona con autismo.

E questo discorso vale anche chi porta con sé questa condizione per tutta la vita. Bisogna combattere contro chi tenta di dissacrare così facilmente l’Autismo, lottare per emancipare la propria connotazione umana. Non solo il 2 aprile, ma tutti i giorni. Perché è da chi porta con sé la disabilità che può (e deve) nascere la Disabilità Positiva.

Per chiosare su questo argomento, può tornare utile la lezione di vita che Leone il cane fifone riceve da un pesce in una vasca: “Non esiste la perfezione. Tu sei bello così come sei, Leone. Con tutte le tue imperfezioni, puoi fare qualsiasi cosa”. Imperfezioni da difendere con lungimiranza consapevolezza e umanità.

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Quando l’equitazione è integrazione

Che lo sport sia un incubatore sociale è noto da tempo: la ricerca di affermazione attraverso una partecipazione pulita e con regole condivise è modello e obiettivo della convivenza corretta con gli altri – famiglia, società, istituzioni.

E questo è vero, a maggior ragione quando si cerca l’integrazione della disabilità. I primi germogli hanno visto luce e sono fioriti nel grande impegno del Cip, il Comitato paralimpico italiano, che ha portato gli azzurri con disabilità in cima a molti medaglieri.

Equitazione e disabilità

Tante le soddisfazioni in numerose discipline, e solida la situazione in Equitazione, sport dove la prestazione si potenzia nella relazione con il cavallo, individuo senziente. Anche a livello di promozione sportiva, in quello “sport di base” dove si formano tanti futuri campioni, si registra un grande impegno, che si traduce in iniziative, progetti, proposte innovative.

Il lavoro di ASI nell’equitazione

Tra gli enti, particolarmente attivo è stato in questi anni Asi, che oltre 6 anni fa ha ideato e realizzato il dipartimento Discipline Equestri Integrate, oggi capofila riconosciuto dello sport integrato.

Tre le specialità che caratterizzano le Discipline Integrate: Dressage, Gimkana e Volteggio. Ogni categoria è stata studiata minuziosamente e concepita per accogliere un’utenza diversamente abile che si confronterà con i cavalieri normodotati sulle sole difficoltà tecniche, valutate da un Giudice unico, non consapevole a priori della presenza o assenza di disabilità. Per una volta, insomma, tutti in campo ad armi pari e su terreno neutrale.

La crescita esponenziale del settore ha portato in breve alla nascita di uno stabile circuito di gare assurto al ruolo di Trofeo in aggiunta al Campionato nazionale. Partecipazione nell’ordine delle centinaia di atleti, ogni tappa un’occasione di socializzazione per i cavalieri e le loro famiglie, integrazione compiuta fra gli atleti disabili e non.

In un mondo che persegue politiche sempre più inclusive, ma tiene ancora ben distinte Olimpiadi e Paralimpiadi, il progetto Discipline Integrate prosegue sulla scia di chi sei anni fa lo ha “sognato”: sport di integrazione e per l’integrazione, guardando avanti.

Per svegliarsi, magari, e vedere quel sogno diventato realtà.