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“La disabilità esiste, fatevene una ragione”

La disabilità esiste, e tale notizia non dovrebbe essere una novità. Tuttavia, ciclicamente vale la pena ribadirlo, in quanto l’opinione pubblica attuale tende a dimenticarsi di questo messaggio. Anche se, in più di un’occasione, lo stesso ottiene condivisioni online impressionanti. Come il video pubblicato su Facebook il 13 giugno 2019 da Nola, una bambina con disabilità di 9 anni, che, in meno di due minuti, ha espresso parole al veleno contro la cultura dell’inciviltà.

La disabilità esiste: un monologo encomiabile

Il video di Nola è divenuto virale in poco tempo, raggiungendo anche l’attenzione di svariate testate giornalistiche. Il concetto espresso dalla bimba è molto semplice: la disabilità esiste, e non ci potete fare niente. A emergere con chiarezza è anche il tono utilizzato: la piccola, infatti, mostra decisione, concretezza e sagacia attraverso il suo linguaggio. Una vera leader comunicativa, la quale esterna rapidamente le criticità più serie riguardanti i problemi sociali legati alla disabilità. Per capire meglio la compattezza esemplare del suo discorso, abbiamo deciso di commentarne i punti salienti.

“Civiltà, educazione e rispetto”

Le parole chiavi che Nola ha usato spesso per sottolineare che la disabilità esiste sono tre: “Dovete avere più civiltà, più educazione, più rispetto“. Espressione che torna poco più avanti, corredata da un’altra frecciatina diretta agli incivili: “Vi chiedo il rispetto, l’educazione e di far funzionare il cervello“. La bambina di 9 anni mostra tutto il suo malumore nei confronti di una società non all’altezza di prendersi carico dei bisogni di chi, come lei, siede su carrozzina. Da quanto traspare dal filmato, Nola ritiene che la disabilità non sia parte integrante dell’immaginario collettivo. Ma è lei stessa a mostrarci tre soluzioni pratiche e già attuabili: più civiltà, più educazione, più rispetto. Semplice e lineare, condivisibile su tutti i livelli. “Voi ci mancate di rispetto ogni giorno – spiega ancora Nola -. Siete talmente concentrati solo e sempre su di voi, che a noi non ci pensate”. E come darle torto.

“La città è anche nostra”

Il nemico principe sul quale Nola si scaglia ferocemente è la gestione delle barriere architettoniche. E lo fa in un momento abbastanza importante: quest’anno è il 30esimo anniversario della legge n.13 del 1989 che stabilisce gli obblighi per l’abbattimento delle stesse. “La città non è solo vostra – precisa la bimba -, ma anche nostra. Anche noi siamo dei cittadini come lo siete voi”. Una concezione basilare che, purtroppo, sembra ancora complessa da far amalgamare a livello sociale.

“La disabilità esiste”

Forse è il messaggio più importante che emerge dal filmato di Nola. “Noi esistiamo e io lotterò ogni giorno per dire ‘no’ ai marciapiedi pieni di ogni cosa”. La voce della bambina è di una persona stanca di sopportare ingiustizie di vario tipo, oltre a un’opinione pubblica che la guarda più nella sua diversità che come essere umano. Ed è per questo che, lei stessa, è l’esempio perfetto di Disabilità Positiva. Siamo di fronte a un individuo che scende in campo in favore dei suoi diritti, per ottenere ciò che gli spetta. Che sia uno scivolo su un marciapiede o l’accettazione culturale della differenza, Nola ricorda a tutti noi che la guerra per l’integrazione e l’inclusione è ancora lunga e tortuosa. Però, con persone come Nola al nostro fianco, non abbiamo nulla da temere.

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“Mia figlia con disabilità può fare tutto ciò che vuole”

È il 13 aprile 2019, all’Olimpico va in scena il match di Serie A tra Roma e Udinese. Prima del fischio d’inizio, come di consueto, i giocatori sfilano sul manto verde dello stadio per la cerimonia d’apertura. E, assieme al numero 9 giallorosso Edin Dzeko, c’è una bambina con disabilità. Solo dopo la gara si scoprirà il suo nome, Ilary. E l’immagine, ripresa anche dai canali social della squadra capitolina, fa il giro del web, tanto che svariati messaggi di apprezzamento arrivano alla madre della protagonista, Federica D’Orta.

La mamma: “Mia figlia con disabilità la porto ovunque”

Ilary, la figlia con disabilità di Federica, è divenuta l’icona di quel mondo di società che urla “Esisto anche io, e posso fare questo e molto altro”. La stessa mamma, in quel momento, ha rappresentato il simbolo di chi veste i panni del genitore di un bambino con disabilità. “Mia figlia la porto ovunque”, ci racconta in una lunga chiacchierata al telefono. “Per esempio, siamo andati alle grotte sottoterra in Slovenia, con il trenino. Le faccio fare veramente tutto, come andare ai musei e a teatro. L’ho portata anche agli scavi di Ostia Antica”.

Ilary in campo con Dzeko: com’è andata

Una mamma, quindi, che non ha paura di tarpare le ali della propria figlia con disabilità. Anzi, la esorta a vivere la sua vita. Un argomento che affronteremo più avanti, perché prima vogliamo sapere tutto sulla ‘sfilata in campo’ con Dzeko. “Abbiamo fatto la richiesta che si fa per portare i bambini a bordo campo, la classica prassi che fanno tutti – ci rivela -. Ci hanno fatto la gentilezza di chiamarla assieme al fratellino. Infatti, sono entrati tutte e due insieme”.

Sua figlia con disabilità ha ottenuto riflettori molto importanti che, a nostro giudizio, hanno enfatizzato ancora di più l’esistenza della disabilità nella nostra società come normalità. “Ha fatto comunque una cosa che hanno fatto tutti i bambini – precisa Federica -. La Roma ha fatto entrare tranquillamente la bimba in campo senza problemi. È stata trattata benissimo, è stata una cosa bella. Hanno fatto vedere che è una cosa normalissima e Ilary si è divertita con tutti gli altri bimbi”. Possiamo ipotizzare, inoltre, che questo episodio sia una lampad(in)a per ampliare l’attenzione nei riguardi degli sport per disabili. “Certo. Addirittura, altre persone avevano paura che Ilary non potesse camminare sull’erba del campo. Purtroppo, stiamo a questi livelli”.

I messaggi degli utenti online

Nel momento esatto in cui la figlia con disabilità calcava il campo dell’Olimpico, le persone hanno navigato online alla ricerca dei genitori. “Ho ricevuto un sacco di messaggi bellissimi – ci racconta -. Mi hanno ringraziato perché avevo fatto vedere che sfilare così è una cosa che si può fare, è accessibile, possono farlo tutti. Quello che più mi ha colpito? Mi sembra un papà su Twitter. Mi ha ringraziato perché, come vi dicevo prima, ho fatto vedere che anche loro possono vivere esperienze bellissime”.

Il ruolo del genitore: “Ilary vive la sua vita”

E arriviamo al nocciolo della questione, il ruolo che un genitore assume nella crescita del proprio bambino. In questo caso, Federica insegna alla sua figlia con disabilità di non porsi limiti, evitando di cadere nel protezionismo forzato. “Ho uno stile di vita diverso dalle altre persone – ci svela -. Frequentando centri di fisioterapia e ospedali, conosco molti genitori e bambini disabili che optano le stesse mie scelte. Personalmente, lascio fare a Ilary qualsiasi cosa, deve vivere la vita come una bambina senza problemi”.

L’obiettivo? Non lasciarla chiusa in casa, come invece capita in altre famiglie. “Sono contro questa cosa, anche se giustamente c’è chi va nell’iperprotettività. Per esempio, ora (mattina del martedì 14 maggio, ndr) io sono ad Ardea e Ilary è in gita a Tor Vergata e tornerà alle 17:30″. Un approccio abbastanza aperto, tuttavia acquisito nel tempo: “È vero, le prime volte bisogna fidarsi delle persone a cui affidi tua figlia con disabilità. Però lei adesso sta con la sua infermiera e l’insegnante di sostegno, e fa le cose normalissime che fanno tutti. Sta fuori sia a pranzo che a merenda, e lei ha pure una P.E.G., una nutrizione artificiale. Però lei fa tutto come gli altri”.

Non è un caso, quindi, questa spinta di vita per Ilary da parte della madre. “Io su questa cosa sono molto rigida, le faccio fare tutto, cercando ovviamente cose accessibili. Anche questa sua esperienza (entrare in campo con la Roma, ndr) può essere la dimostrazione che si può fare tutto. Basta mettersi d’impegno”.

La notizia nella notizia

Comunque, nel caso non ve ne foste accorti, c’è una breaking news: una bambina con disabilità è in gita con la propria scuola. “Certe persone mi dicono ‘Ma come fai?’. E lei ha una disabilità grave, non cammina, non parla, non mangia per bocca, ha cose pesanti rispetto ad altri bambini le cui mamme non li mandano neanche a scuola. Oggi mia figlia, invece, è a chilometri e chilometri da me, vive la sua vita. Certo, con le sue problematiche, ma riesce a vivere una vita normale. Anzi, forse fa più cose lei che altri bambini che stanno sul telefono”. Quest’ultima frase le fa scoppiare una leggera risata. Ma non è una risata forzata, è sincera, emozionata, spensierata, pura. La stessa purezza alla base del suo significato di Disabilità Positiva: “Non vedo la disabilità come una condanna. Anche nella sua disabilità, Ilary ha la sua vita felice. Lei fa tutto, vive la sua vita, e ride sempre”.

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Sessualità e disabilità, parola alla nostra esperta

Nel 2016 ho ideato Sensuability, un progetto multimediale di sensibilizzazione con l’obiettivo di abbattere gli stereotipi e pregiudizi relativi alla sessualità e disabilità, e favorire la libertà di espressione proponendo nuovi linguaggi e un nuovo modo di fare cultura che agisca attraverso tutte le forme d’arte: cinematografia, fotografia, pittura, musica e fumetto. Attraverso i differenti linguaggi artistici, vogliamo rappresentare tutte le forme di disabilità, anche quelle meno visibili, e sensibilizzare su un tema complesso, qual è la sessualità, contribuendo a creare un nuovo immaginario che descriva corpi non perfetti ma sensuali, con leggerezza e ironia.

La sfida è proprio quella di contribuire a diffondere una cultura che rappresenti fisicità differenti dai soliti modelli di bellezza e dai canoni estetici imposti dai media. Sensuability, realizzato dall’associazione NessunotocchiMario, comprende un mockumentary, una mostra fotografica e una mostra di fumetti.

Proprio in occasione della mostra di fumetti Sensuability: ti ha detto niente la mamma? del 14 febbraio 2019, abbiamo avuto il piacere di conoscere Ability Channel ed Heyoka. Hanno documentato l’evento con un video bellissimo e quello che è saltato subito ai nostri occhi, miei e degli altri soci di Nessunotochimario, è stato l’approccio comune nel voler “riposizionare” l’immagine della disabilità, distanziandola dall’immagine della pena, della paura e degli stereotipi. Alcuni giorni dopo ci siamo incontrati per capire come poter collaborare insieme, per realizzare questo nostro obiettivo comune. Restate nei paraggi perché abbiamo molte idee bellissime e molto lavoro da fare.

Sessualità e disabilità, le pillole di Sensuability

  1. Nessunotocchimario: Armanda Salvucci, presidente dell’A.P.S. Nessunotocchimario e ideatrice del progetto Sensuability su sessualità e disabilità, in occasione della mostra di fumetti Sensuability: ti ha detto niente la mamma?, ci racconta da dove viene il nome dell’associazione.
  2. Gli stereotipi: quanto gli stereotipi riducano la libertà di espressione delle persone e come si possono abbattere attraverso l’ironia.
  3. La paura: l’ignoranza è generata dalla paura, vero ostacolo alla conoscenza reciproca.
  4. Lo stereotipo dell’eroe: in questo pillola, Armanda ci racconta cosa pensa degli stereotipi sulla disabilità.
  5. La disabilità non è l’unico problema: un percorso di crescita personale è fatto di tante fasi che conducono alla consapevolezza che una persona non è la sua disabilità.
  6. Come ti vedi e come ti vedono gli altri: l’inferno sono gli altri diceva Sartre, solo se glielo permettiamo.
  7. La costruzione di valore: ogni persona, con disabilità o senza, attraversa nella sua vita varie fasi, negazione, sublimazione. Ma cosa le dà veramente valore è la somma di piccole cose.

Articolo di Armanda Salvucci

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Il qualunquismo (online) genera pietismo e ignoranza

Il qualunquismo non è un prodotto nato oggi. C’è sempre stato e (purtroppo) potrebbe persistere per lungo tempo. Tuttavia, con la ramificazione della libertà d’espressione online, è diventato un vero e proprio problema. Problema da discutere, osservare e combattere. Perché, sì, il qualunquismo genera pietismo e ignoranza, in tantissimi argomenti.

Il qualunquismo online: cosa succede?

Partiamo dai fatti. È il 6 maggio 2019 e sulla pagina Facebook di Iacopo Melio c’è un nuovo post: “Mi hanno segnalato questa pagina che pubblica foto di bimbi e persone malate o con disabilità, chiedendo un ‘Ciao’ nei commenti motivando con: “sono handicappata… nessuno mi vuole… si vergognano di me…” e tanti altri commenti aberranti ‘acchiappa like’ sfruttando disabilità o malattie”.

La pagina in questione si chiama NewsBlogo. E, come scritto nelle informazioni, è “un periodico di informazione online, gratuito, indipendente, che non riceve finanziamento pubblico”. Il profilo in oggetto, però, non pubblica articoli, bensì foto strategiche, finalizzate chiaramente alla ricerca di like, commenti e condivisioni. Tra le altre cose, spuntano immagini di persone con disabilità o pazienti con caratteristiche simili a chi ha appena subito la chemioterapia. Cosa sta succedendo? Il qualunquismo sta mercificando la disabilità.

Questa non è Disabilità Positiva

Un primo approccio superficiale potrebbe sentenziare sulla magnanimità della pagina: non condivide odio, tanto meno pensieri estremisti. Ci sono delle foto di individui (con autorizzazioni?) alla ricerca disperata di strappare qualche ‘Mi piace’. Una dinamica di marketing notevolmente mediocre, che nasconde un problema ancora più grave: la diffusione del qualunquismo, che rende la disabilità un canone estetico da compatire.

In sostanza, ritorna in auge un sentimento pietistico, legittimando l’idea che la diversità sia una condizione inferiore. E, chi non ha queste diversità, può solo guardare e pregare, lanciare un messaggio di conforto, epitetare queste persone come “angeli del cielo” o “insegnanti di vita”. Così, senza neanche conoscere effettivamente le persone nelle foto. E questo non fa altro che diffondere un’immagine della disabilità erronea.

Qual è il problema?

Nel corso degli ultimi anni, il mondo della disabilità ha provato in tutti i modi a uscire fuori dal proprio guscio al grido di “inclusione“. Con risultati davvero importanti, che hanno dato all’opinione pubblica nuove chiavi comunicative con cui trattare il tema.

Purtroppo, però, l’ignoranza di fondo – soprattutto oggi – persiste e resiste. Quella stessa ignoranza che guarda al diverso come a un individuo debole, inutile, a cui la vita ha sottratto qualcosa. Tutto ciò non fa altro che legittimare il pensiero che la diversità vada guardata da sopra un piedistallo, come se esistesse una fascia umana superiore agli altri per forza di cose. Questa non è la Disabilità Positiva di cui dovremmo parlare. Ma è quella disabilità negativa da combattere, perché rende le persone schiave di tabù e preconcetti che sono farisaici nella cultura odierna.

“Mi chiamo Agata e non piaccio a nessuno perché sono handicappata”. “Sono Valeria e oggi compio gli anni. Me li fate gli auguri? Non siate razzisti”, seguita da una foto di una persona con Sindrome di Down. “Ciao a tutti mi chiamo Simona e mio marito si vergogna di me perché sono disabile”. Sono solo alcuni dei post che abbiamo trovato nella pagina, e che proliferano grazie alle condivisioni degli utenti, ignari (col beneficio del dubbio) del messaggio pietistico che si vuole condividere.

Cosa comporta?

Tale atteggiamento pietistico porta a vedere qualsiasi condizione come un’innegabile male con il quale non si può avere una vita soddisfacente. Per dirla con termini più terra terra, si guarda alla disabilità come a una privazione importante per essere definite persone. Un circolo vizioso che chiama alla raccolta chi dall’ignoranza non sa uscirne (e, forse, non vuole neanche).

Cosa fare?

La risposta può risultare banale, ma è abbastanza semplice: bisogna creare consapevolezza. Innanzitutto su un concetto nevralgico, cioè che il disabile è una persona, sopra ogni cosa. In seconda battuta, che le persone con disabilità non vogliono essere compatite, ma chiedono la legittimità e la difesa dei propri diritti, come ogni essere umano. Infine, studiare, leggere, conoscere, osservare: perché il qualunquismo non è cultura, ma solo un mero palliativo dell’insolente ignoranza.

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Abbiamo parlato con Iacopo Melio di emancipazione lavorativa

Iacopo Melio è un giornalista freelance con disabilità di notorietà nazionale. La sua storia ‘pubblica’ inizia nel 2014, con un articolo ironico di sua firma sulle barriere architettoniche diventato virale. In seguito, ha realizzato la campagna #vorreiprendereiltreno, oggi Onlus. Una storia ricca anche di diversi riconoscimenti, ultimo in termini di cronaca l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito conferita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Nel corso degli anni, Iacopo Melio si è fatto riconoscere per la sua carriera giornalistica. Il lavoro, appunto. Un argomento che, nel mondo della disabilità, è spesso oggetto di numerosi dibattiti, primo tra tutti di tipo umano. Perché? Beh, c’è chi pensa ancora che il disabile non possa avvicinarsi a questa dimensione sociale. E, conseguentemente, ottenere un’indipendenza economica. Questo ed altri temi sono stati argomenti di una nostra chiacchierata proprio con Iacopo Melio.

Ciao Iacopo Melio e benvenuto su Heyoka. Qual è il tuo significato di Disabilità Positiva?

“Non esiste una ‘disabilità positiva’ o negativa. Esiste un modo di raccontare la disabilità che non etichetti, non crei compassione né pietà: quando facciamo capire che ognuno di noi è disabile se non ha gli strumenti per poter fare quel che fanno gli altri. Per questo la disabilità è una responsabilità sociale che potrebbe scomparire col supporto adeguato”.

Ti abbiamo contattato perché vorremmo sfatare il mito che una persona con disabilità non possa lavorare. Come mai, secondo te, esiste ancora il preconcetto che dipinge il disabile come ‘incapace per antonomasia’?

“Perché i disabili vengono visti come spese e non come risorse o investimenti. Ognuno di noi non sa fare qualcosa, così come ognuno di noi sa fare qualcosa: dobbiamo imparare a evidenziare le abilità e non le difficoltà di una persona. Lo si fa, come dicevo, cambiando il concetto di disabilità stessa, che non è un’etichetta fissa ma una condizione di svantaggio momentanea legata ad un preciso contesto”.

C’è chi pensa che l’impiego più comune per una persona con disabilità sia l’operatore ai call center. È vero?

“Sì, è vero, a meno che non abbia una pessima voce come la mia! Di certo il tele-lavoro è una risorsa preziosa oggi, e qualsiasi professione da casa oppure online deve essere valorizzata (i disabili dovrebbero avere, in questi settori, corsie preferenziali qualora desiderino accedervi). Però deve essere una scelta personale della persona con disabilità: non c’è solo quel mondo lavorativo, ognuno di noi è giusto che faccia ciò che ritiene giusto per sé o che pensa di saper fare bene”.

Ci sono altri miti da sfatare nel binomio lavoro-disabilità?

“Un sacco. Il più grande è a monte: si pensa che un disabile non possa o, ancor peggio, non voglia lavorare in virtù del fatto che percepisce una pensione mensile (seppur minima). Io non voglio certo essere mantenuto dallo Stato, la pensione serve a pagarsi medicine, visite, e altro di sanitario. Per il resto, ognuno dovrebbe essere messo in condizione di mantenersi ed essere autonomo professionalmente (quando possibile, ovvio)”.

Domanda banale quanto millenaria: possiamo dire che esiste un problema di assunzione per le persone con disabilità?

“Certo. Basti pensare che c’è una legge che obbliga l’assunzione di una persona con disabilità ogni tot. dipendenti ‘normodotati’. Sebbene questo venga rispettato quasi sempre nel settore pubblico, poche volte questo accade nel settore privato: le aziende preferiscono correre il rischio ed eventualmente pagare una multa piuttosto che assumere una categoria protetta (che paradossalmente gli costerebbe di più). È assurdo”.

Nel corso degli anni, hai ottenuto una tua dimensione lavorativa nel giornalismo. Quali sono stati gli ingredienti che ti hanno permesso di sdoganare la tua figura dall’essere visto solo per la tua disabilità?

“Semplicemente mi sono autogestito. Ho iniziato aprendo un blog, poi una pagina Facebook, e dai tempi delle superiori ho scritto su internet. Prima per nessuno, poi per un piccolissimo pubblico, poi per qualche giornale online semi-sconosciuto, finché i miei lettori non sono aumentati con gli anni fino ad ‘esplodere’ nel 2014 con un mio articolo diventato virale. Da lì sono aumentate le persone e così anche l’interesse dei primi giornali più seri, fino ad arrivare a Fanpage, TPI e Repubblica dove collaboro adesso come freelance. Anche se molti non lo sanno e non sembra, è stato un percorso graduale fatto di tante testate contro un muro”.

Quando un volto diventa molto noto, la sua disabilità è inquadrata meno nell’ottica dell’opinione pubblica. Come mai questo accade? E’ possibile che una persona con disabilità comune possa ottenere un’indipendenza lavorativa senza che la sua disabilità venga sindacalizzata sempre e comunque?

“Non è vero che la disabilità scompare, è solo che quella persona diventa un ‘esempio’ e una fonte di ispirazione per molti (in modo più o meno giusto e lecito, perché sfociare nell’abilismo motivazionale è facile ed è controproducente), così quella disabilità non diventa solo un limite ma anche un punto di forza e un ‘valore’ positivo. Nel lavoro la disabilità non dovrebbe essere sottolineata proprio perché qualcuno viene assunto perché sa fare qualcosa, non perché non sa fare qualcosa: dunque a che serve rimarcare i suoi impedimenti?”.

Secondo Iacopo Melio, le attuali condizioni di legge presenti in Italia sono positive per i lavorati con disabilità?

“Non molto, di certo non nel privato, come già ho spiegato. Una persona con disabilità ha un’oggettiva scelta ridotta di mestieri (escludendo tutti quelli fisici), perciò credo che dovrebbe esserci davvero una corsia preferenziale che tuteli i disabili per trovare lavoro in modo facile, in base alle loro attitudini. Inoltre, il lavoro online o il telelavoro è poco sviluppato e valorizzato nel nostro Paese, quando in realtà dovrebbe esserlo per tutti, non solo per chi è disabile, essendo il futuro”.

Quando si parla di lavoro, inevitabilmente si guarda al sistema scolastico. C’è qualcosa da migliorare anche nel modello dell’istruzione attuale?

Sensibilizzare i bambini. Loro sono il futuro e i cittadini di domani: fargli ‘toccare’ da vicino la disabilità significa renderli degli adulti più consapevoli e meno spaventati, e perciò più propensi non solo a rapportarsi con la disabilità ma anche capaci a ‘non vederla’ quando necessaria”.