Il tema dell’occupazione dei parcheggi riservati alle persone con disabilità è sempre all’ordine del giorno nella società italiana. Un argomento che, purtroppo, ha caratteri mainstream secolari, e che poggia le basi sulla violazione di diritti ed equità. Negli ultimi tempi, la lotta ai furbetti dei parcheggi riservati ha assunto toni ancora più eclatanti, tra iniziative personali e gesti istituzionali a dir poco opinabili.
Lotta agli incivili: il caso dei parcheggi riservati
Sì, il nostro discorso stavolta è prettamente indicato alle persone normodotate che, con le scuse più banali, occupano i parcheggi riservati delle persone con disabilità. Si tratta di un tema che li riguarda, come dicevamo prima, non solo per garantire il rispetto dei diritti, ma anche per riconoscere che, per includere la Disabilità Positiva nella società, occorre un cambiamento culturale. Tale evoluzione richiede, dunque, un impegno collettivo al rispetto delle individualità altrui come persone fisiche dotate di diritti umani. Insomma, appropriarsi dei parcheggi riservati è un’operazione squallida che potrebbe essere tranquillamente evitata. E bloccare tale tendenza renderebbe giustizia a quell’inclusione sociale che tanto è professata, ma poco garantita.
La Disabilità Positiva non è un discorso categorizzabile
Molte volte, quando pensiamo alla Disabilità Positiva, riflettiamo semplicemente su storie o avvenimenti di persone disabili che ne abbiano risaltato i canoni. Tuttavia, la sua accezione ha svariate forme, e riguarda anche individui che, magari, con la disabilità, nella propria sfera personale, non hanno mai avuto contatti. Cosa possono fare, dunque? Migliorare il proprio atteggiamento nei confronti della diversità, soprattutto se siamo di fronte a individui che commettono più di una volta nefandezze come rubare i parcheggi riservati. Se si vuole cambiare la cultura, bisogna cambiare la collettività. Se si vuole che la Disabilità Positiva diventi una parte integrante della collettività, bisogna cambiare la cultura. Un circolo che riguarda ognuno dei nostri atteggiamenti nei confronti del prossimo, nessuno è escluso.
Ammettilo, quant’è difficile trovare spiagge accessibili in giro per l’Italia? Tanto, lo sappiamo. Non è una battaglia facile da intraprendere. Basti pensare che c’è chi non garantisce affatto una perfetta inclusione per le persone con disabilità. Addirittura, c’è chi dà informazioni distorte rispetto alla realtà. Perciò, noi di Heyoka abbiamo messo in ordine le indicazioni migliori per realizzare un vadevecum su misura per i bagnanti disabili.
La guida alle spiagge accessibili d’Italia
Quindici regioni italiane, una didascalia minuziosa e i dettagli basilari per informarsi direttamente con le strutture preposte. Questa è la guida alle spiagge accessibili d’Italia a firma Heyoka. Ogni pagina del nostro documento è dedicata a una delle regioni prese in esame: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana e Veneto. Infatti, ad esempio, per ogni elenco regionale delle spiagge accessibili ci sono i link diretti ai siti ufficiali delle strutture. Oltre a ciò, è presente una piccola mappa accompagnata da indicatori di posizione dei lidi documentati. Infine, c’è una legenda che descrive quali servizi sono garantiti dalle spiagge.
I criteri della legenda
Nella nostra guida sulle spiagge accessibili d’Italia abbiamo tenuto conto di svariate disabilità, da quella fisica a quella visiva. Di seguito sono raccolti tutti i servizi basilari che servono a garantire l’accessibilità al mare:
Assistenza;
Sedia Job, Sedia Sand & Sea, Sedia Job Lettino (come la carrozzina Solemare di Offcarr, presente nella copertina della guida);
Passerella;
Lettino/Sdraio;
Servizi igienici;
Pedana;
Parcheggio;
Ingresso assistito;
Rampa;
Spogliatoio;
Cabina;
Soccorso;
Aiuto non vedenti;
Diete personalizzata.
Per ogni servizio, abbiamo assegnato un bollino. Se tale bollino è presente nella struttura elencata, quel determinato servizio è garantito.
Scarica la guida alle spiagge accessibili d’Italia
Se sei arrivato qui, significa che sei interessato a goderti una o più giornate di relax al mare. Possibilmente, accessibile. Dunque, in questa sezione potrai scaricare gratuitamente la nostra guida alle spiagge accessibili d’Italia. Inoltre, se vorrai, ti chiediamo di farci sapere se il nostro documento ti è stato utile. Raccontaci la tua esperienza alla nostra pagina Facebook.
Dal 7 al 9 giugno 2019 la redazione di Heyoka è andata al Grand Prix FISPES di Grosseto per seguire diverse gare sportive in vista delle qualificazioni per i Mondiali autunnali di Dubai (7-15 novembre 2019) e le Paralimpiadi di Tokyo (25 agosto – 6 settembre 2020). Durante la nostra permanenza, abbiamo potuto saggiare tutte le emozioni che una manifestazione sportiva di questo livello ha saputo regolare. Ma cosa abbiamo imparato da questo evento?
La Disabilità Positiva attorno il Grand Prix FISPES
Il Grand Prix FISPES 2019 ha consegnato a partecipanti, addetti ai lavori e spettatori un significato di Disabilità Positiva a tutto tondo. Entrare nelle dinamiche di questa manifestazione ha reso possibile l’emergere di una diversità che fosse la normalità in tutta i suoi effetti. Cioè, che la disabilità è un tratto distintivo della società, come possono esserle altre culture appartenenti alla stessa attualità. Insomma, non una diversità il cui mondo è diviso dalla quotidianità, ma che essa è parte integrante e fondamentale.
Non è una bolla sociale indipendente
Di conseguenza, non siamo di fronte a un universo che vive a sé, che respira e vegeta indipendentemente da ciò che conosciamo nella routine consueta. Anzi, abbiamo a una manifestazione sportiva che è la routine stessa, che fa parte di un quadro alquanto ampio di un diritto allo sport che deve essere garantito a tutti. Non siamo, perciò, a contatto con atleti che ‘passano il tempo fuori casa’, ma veri e propri lavoratori dello sport che, con fatica, dedizione e sacrificio, puntano al primo posto della proprio competizione.
L’esempio del Grand Prix FISPES
Il Grand Prix FiSPES ha messo in campo tutto ciò che serviva per realizzare quell’integrazione e inclusione sociale che punta alla normalità della Disabilità Positiva. Non più, quindi, come un quadro storto e non curato, ma un dipinto di sensibilizzazione all’accettazione della diversità nella sua esistenza più pura.
Asperger way è un progetto digitale di Ilaria e Simone, una coppia che, com’è scritto nella biografia della loro pagina Facebook, “si è conosciuta e riconosciuta grazie alla Sindrome di Asperger“. Già, perché il duo, che ora si trova a Novara, ha aperto anche un blog per parlare dell’Asperger e dell’Autismo. Facendo sì informazione, ma raccontando anche delle storie. In che modo? Lo abbiamo chiesto ai diretti interessati.
Che cos’è Asperger way?
Ilaria: “Asperger way è un progetto nel quale raccontiamo la nostra storia e facciamo informazione sull’Asperger e sull’Autismo ad alto funzionamento. In più, grazie al blog, cerchiamo di dare maggiore spazio a quelle che sono le nostre passioni e le nostre conoscenze: raccontiamo luoghi, storie, persone, fino ad arrivare alla sostenibilità e alla natura”.
A noi piace molto il vostro claim: due aspie in viaggio. Immaginiamo che, con la vostra storia, tendete a sfatare qualche mito riguardo l’Asperger. Ne smitizziamo qualcuno anche qui?
Ilaria: “Noi viaggiamo e incontriamo persone, anche questo è rompere con gli stereotipi. Perché, appunto, se con l’Asperger hai problemi sociali, noi andiamo oltre. Cerchiamo di andare a fondo delle persone, di guardare il mondo con un altro sguardo”.
Simone: “Non tutte, ma le persone che non conoscono bene l’Autismo e l’Asperger hanno un’estrema difficoltà a interagire. Invece noi vogliamo farlo. Certo, abbiamo delle difficoltà, ma andiamo oltre. Questo, nel tempo, ci fa anche essere persone migliori”.
Asperger way può rendervi un esempio. Il problema, però, è che potreste ottenere toni pietistici e/o eroici. Secondo voi, come si può rompere questo schema?
Simone: “Bisogna essere chiari. Noi cerchiamo di non essere didascalici, ma di andare un po’ più a fondo, facendo capire che non parliamo di tutte le persone con Asperger. Asperger way è la nostra storia. Molte persone, poi, vedono come la comunichiamo, e capiscono meglio l’Asperger”.
Ilaria: “Questo problema ce lo siamo posti inizialmente. Oltre a raccontare noi stessi, abbiamo messo insieme argomenti che vanno al di là dell’Asperger: raccontiamo le nostre capacità e quello che abbiamo studiato, ad esempio. E poi, con il sito, raccontiamo le storie di altre persone con Asperger”.
Secondo voi, quindi, oggi l’opinione pubblica come guarda alla disabilità?
Ilaria: “Oggi bisogna rompere questo schema di chi ti compatisce in quanto persona con disabilità e, dall’altra parte, di chi giudica la tua condizione come una scusa. C’è una via di mezzo in cui arrivare, è quello che cerchiamo di fare noi. Attraverso la conoscenza e l’informazione, le caratteristiche della nostra condizione si possono conoscere e integrare nel resto del mondo. Perché tutte le differenze vanno integrate“.
Simone: “Il trucco per far arrivare le cose è usare le favole e le parabole. Senza fare magheggi, le nostre storie e i nostri video possono intrattenere. E passa il messaggio che non siamo i classici Asperger che fanno la paternale e la morale. Noi facciamo vedere le cose senza auto-flagellarci, in modo che il messaggio sia efficace. Anche lì, però, stiamo cercando di migliorarci”.
Qual è la vostra definizione di Disabilità Positiva?
Ilaria: “Per noi significa non avere paura delle diversità. E anche raccontarle, farle comprendere a chi non le conosce. Prendere queste caratteristiche e utilizzarle per raccontare il mondo attraverso i nostri occhi”.
Simone: “Trasformare le particolarità in talenti. Puntare tantissimo sulle peculiarità che potrebbe essere punti di forza, e quindi ‘scemare’ le difficoltà”.
La Special Angels Dance School non è ancora aperta, ma promette di essere un limpido esempio di inclusione sociale. Stiamo parlando della futura accademia di danza di Virginia e Martina Di Carlo, sorelle unite dalla stessa passione artistica. Tra le due torinesi, Virginia, la più grande, è una persona con disabilità: a causa di un’asfissia neonatale, infatti, la ragazza è nata con una tetraparesi spastica, caratterizzata da disturbi motori a tutti gli arti e disturbi del linguaggio. Nonostante ciò, è diventata campionessa di danze paralimpiche e insegnante della disciplina. Ma non è tutto.
Special Angels Dance School
Già, perché Virginia e Martina hanno deciso di aprire una loro scuola inclusiva, nella quale far entrare anche le persone con disabilità (attenzione, anche, non solamente). Per capire meglio il loro progetto, le abbiamo contattate e, fin da subito, si nota la grande affinità tra le due, soprattutto nel concludere l’una le frasi dell’altra. La prima a iniziare è Martina, la quale ci spiega che la Special Angels Dance School è un’idea della sorella maggiore. “Da piccola Virginia non poteva camminare, i medici le avevano dato 18 anni di vita e detto che sarebbe diventata un vegetale”. Così non è stato, anzi, quando Martina iniziò a danzare a 6 anni (alla scuola Salsa Mania), “Virginia decise di andarla a vedere. L’insegnante poi… – da qui continua Virginia – … mi ha chiesto se volessi ballare. E da lì ho iniziato. Poi, dopo un paio di anni, ho smesso perché ho cambiato scuola. Dopo la quinta superiore, ho chiesto alla mia insegnante i dettagli per insegnare danza ai ragazzi disabili. Mi consigliò una laurea in Scienze Motorie: mi sono iscritta e da due anni sono laureata”.
Cosa sappiamo finora della scuola
Per la realizzazione della scuola, le sorelle Di Carlo hanno avviato una campagna di crowdfunding su Eppala. Il 14 giugno 2019 hanno annunciato di aver raggiunto uno degli obiettivi prefissati con un video su YouTube. Prima che tutto ciò accadesse, abbiamo chiesto loro se avessero in mente una data di apertura della Special Angels Dance School. “La scuola è in fase di costruzione – svela Martina -. Speriamo che per il 17 settembre sia pronta. Ci dovrebbe essere anche Giovanni Malagò, presidente del Coni, che crede in Virginia e in questo progetto”. Intanto gli iscritti sono già sei (informazione del 21 maggio 2019), i primi ad affacciarsi all’esperienza delle sorelle: infatti, le due sono già 4 anni che insegnano alle persone con disabilità, munite anche di un diploma in materia. “Insegniamo a 15 disabili dell’associazione L’Isola che non c’è di Grugliasco”, ci svelano.
Un progetto inclusivo
Come spesso accade di fronte a tali progetti, la chiave di lettura principale è l’inclusione, un tratto che punta a non ghettizzare la disabilità. In questo caso, la Special Angels Dance School ha pensato proprio a tutto. A specificarlo è Martina: “Tutti possono iscriversi e tutti possono ballare. Non per forza dobbiamo fare lezione solo ai ragazzi disabili”. Virginia rincara la dose: “Il nostro scopo è unire tutti”.
A emergere, dunque, è l’integrazione. Anche perché “rispetto ad anni fa – secondo Martina -, è migliorata, ma non totalmente. Ci sono bambini, ragazzi e adulti che non riescono a includere i ragazzi disabili perché li vedono diversi. Noi vogliamo mandare il messaggio che tutti sono uguali. Non vedo perché un bambino normodotato non dovrebbe giocare con un bambino disabile”. Anche Virginia è dello stesso parere: “Purtroppo ci sono casi dove il bambino disabile viene escluso. È capitato anche a me. Ai giardini vedevo il genitore che allontanava il bambino da me. I piccoli magari domandavano sulla mia condizione, ma il genitore, invece di dare spiegazioni, intimava di stare zitto e non guardare. È la cosa più sbagliata, perché bisogna conoscere tutte le realtà che ci sono”.
L’assenza di una cultura alla diversità
Come ha sottolineato qualche tempo fa l’Autorità Garante in materia, di fatto, sembra mancare proprio la cultura alla diversità già dalle scuole. “Per me il problema non è tanto questo – ammette Virginia -, ma dei genitori che non insegnano al proprio figlio. Io, per fortuna, ho avuto sempre compagni bravissimi con cui ci giocavo insieme, tranne in prima media. Anche quando ho cambiato scuola, ho trovato nuovamente persone splendide che mi hanno sempre inclusa”. “Se i genitori non spiegano soprattutto cos’è la disabilità e come approcciarsi – continua Martina -, ma dicono solo ‘non giocare con lei’ o ‘allontanati’, il bambino cresce con una mentalità sbagliata”.
Gli obiettivi della Special Angels Dance School
Entrambe le ragazze sono certe della loro destinazione. Virginia vuole essere ” un punto di riferimento per i ragazzi come lo sono state le mie insegnanti”. Invece Martina desidera che “tutti i ragazzi con problemi simili a quelli di Virginia possano fare lo stesso percorso che ha intrapreso lei”.
La danza come terapia
La danza e la sporterapia, due concetti che si assimilano tra loro. Perché, come ci spiega Martina, questa disciplina ha avuto degli effetti benefici sulla vita della sorella maggiore. “Virginia ha iniziato a danzare a 10 anni. Lei non riusciva ancora a camminare da sola, aveva bisogno sempre di un aiuto, da familiari o doveva appoggiarsi a degli attrezzi. Ha praticato il primo anno di danza appoggiandosi alla mano dell’insegnante o di un ballerino. Tuttavia, ha ottenuto anche maggiore equilibrio, è riuscita a camminare con una migliore autonomia e ad avere più autostima”.
La concezione del proprio corpo
Le due insegnanti della futura Special Angels Dance School avevano già fatto parlare di sé per i loro numerosi spettacoli di danza. Uno di questi, le vedeva esibirsi con uno specchio ‘bucato’ tra loro. “La nostra insegnante ha creato questa coreografia – sottolinea Martina – per far vedere che siamo uguali. Io ero seduta sullo sgabello, Virginia sulla carrozzina, e non c’era differenza. Facevamo gli stessi movimenti con le braccia e, a un certo punto, ci alzavamo in piedi e facevamo dei passi verso lo specchio. Poi questo specchio ‘si rompeva’ e passavamo entrambe attraverso esso, diventando una cosa sola”. “Io nello specchio vedevo i miei movimenti attraverso Martina”, chiosa Virginia. Un esibizione che, di fatto, esprime l’esigenza di una migliore percezione del proprio corpo, non in base a ciò che gli altri pensano di te in quanto problema, ma su come vuoi riscoprirti.
Il concetto di Disabilità Positiva
Accade sovente che ai nostri ospiti chiediamo quale sia il loro concetto di Disabilità Positiva. Le fondatrici della Special Angels Dance School hanno saputo darci risposte molto esaustive. “Per me – afferma Virginia – è avere un problema, ma affrontarlo in maniera tranquilla. Fregarsene dei problemi della disabilità che hai. Ok, io non posso correre, però me ne frego”. Martina, invece, evidenzia che “tutti hanno una disabilità positiva, normodotati e disabili. Abbiamo tutti qualche problema alla fine, ognuno non è perfetto o un supereroe. Se abbiamo delle persone che credono in noi, che ci danno la forza, si può superare tutto, qualsiasi problema e disabilità”.
L’arrivo di un libro
Pensavate fosse finita qui? E invece no. Perché Virginia ci ha dato uno scoop. “Sto scrivendo un libro dove racconto tutta la mia vita. Ci sono i passaggi importanti, le cose vissute, belle e brutte, anche al di fuori della danza. Il titolo? Finora l’idea è di utilizzare il soprannome di quando ero piccola, Ninni“.
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