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Resurrection Fest: la società riparta da questa immagine

Il Resurrection Fest è una kermesse musicale spagnola dedicata al mondo del rock. Quest’anno è andata in scena dal 3 al 7 luglio scorso, chiamando a raccolta numerosi spettatori da varie parti del mondo. Tra questi, c’era anche Álex Domínguez, un 19enne con disabilità di Baños de Río Tobía che, durante l’esibizione dei Trivium, è stato alzato in cielo dal pubblico con tutta la carrozzina. L’episodio è stato immortalato dal fotografo Daniel Cruz, creando subito una catena virale sui social network arrivata anche in Italia.

Resurrection Fest: la disabilità esiste

“È una sensazione di adrenalina, di libertà, non ci sono limiti o barriere, tutto può essere raggiunto se lo vuoi davvero” è il commento estasiato che Álex a Nuevecuatrouno. Certo, non è la prima immagine di questo tipo che diventa famosa, tuttavia i tempi sono maturi perché diventi un simbolo nevralgico per l’intera società. Lo scatto realizzato al Resurrection Fest, infatti, mette tutti noi di fronte al fatto che la disabilità esiste. È lì, presente, fa parte della nostra civiltà, e come tale va inclusa in ogni aspetto della vita quotidiana. Anche quando si tratta di un concerto. Anche a costo di alzarla al cielo per urlare a tutti quanti la sua essenza.

Sì, anche le persone con disabilità vivono

“Ma di solito non se ne stanno a casa?”. Una frase troppo spesso pronunciata da chi pensa che gli individui disabili non superino l’uscio della porta della propria abitazione. Sì, alcuni non lo fanno, perché si sono rinchiusi una bolla di paure, ansie e indecisioni. Tuttavia, sono in molti a dare il buon esempio, e a superare le barriere mentali personali per scendere in strada e vivere pienamente la propria vita. Un live, uno sport, un film al cinema, una giornata al mare, una semplice passeggiata di shopping: tutto diventa fruibile se la persona lo vuole, se combatte per i propri diritti. E così può zittire chi pensa che la persona con disabilità resti ferma a casa tutto il giorno.

C’è la Disabilità Positiva

Un’altra nozione deducibile dallo scatto riguarda la disabilità in essere e il modo in cui è argomentata. Molto spesso, infatti, è oggetto di notizie quali maltrattamenti e diritti negati. Ma non è solo questo. Perché sì, esiste anche la Disabilità Positiva con i suoi molteplici significati, che ci ricordano l’esistenza dell’individuo disabile come tale, capace di essere un attivo partecipante della comunità. Che sia un Álex alzato al cielo o una tecnologia in grado di migliorarne la qualità della vita. Anche l’immagine del Resurrection Fest opera in tal senso: la disabilità esiste, fatevene una ragione. Accoglietela nella vostra società.

Fonte foto: pagina Facebook Resurrection Fest

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La persona con disabilità è un’importante risorsa economica

Ci siamo confrontati con il concetto della persona con disabilità come risorsa economica in una recente intervista per Ability Channel. Nello specifico riguardava un grave episodio di inaccessibilità alla Galleria d’Arte Moderna di Roma. Lo sfortunato protagonista disabile, infatti, è rimasto intrappolato all’interno della struttura a causa di un montascale guasto. E non fu l’unico intoppo alla visita. Il risultato? L’utente non tornerà mai più lì: ” Preferisco premiare luoghi accoglienti“, specificherà. Il danno per il museo è insanabile: non solo a livello d’immagine, ma anche per gli introiti. Un visitatore in meno significa un calo dei guadagni. Se poi ci aggiungiamo che le varie problematiche riscontrate non permettono a svariate disabilità di accedere al polo culturale, la riduzione dell’incasso si aggrava ulteriormente.

“Non sono un accollo ma una risorsa economica”

Parlare della persona con disabilità come risorsa economica significa inquadrarla al di fuori di svariate speculazioni. Ci riferiamo, appunto, al disabile come a un individuo pagante: a fronte di beni e servizi offerti, spende il proprio capitale. “Pensaci – suggerisce il protagonista della paradossale vicenda romana – . Vado a un museo, mi fermo al bar, bevo qualcosa, passo per la libreria, compro dei gadget o voglio anche un’autoguida. Cose che pago. Non sono un accollo per la struttura che mi ospita, ma una risorsa economica”. Il disabile è un individuo a tutti gli effetti, anche quando si tratta di transazioni economiche. Accettarlo in quanto essere umano di una società significa razionalizzare la dimensione individuale di una persona che sborsa denaro per beni e servizi. In questo modo, quindi, rispettiamo l’indipendenza sociale raggiunta, obiettivo di ogni soggetto appartenente a una comunità civile.

E quindi? Servono più investimenti

Il disabile è una risorsa economica in quanto genera guadagno a favore delle diverse tipologie di aziende esistenti. Ad esempio, se la mia spiaggia è attrezzata per un pubblico di persone disabili (come quelle documentate nella nostra guida gratuita), sicuramente avrò maggiori ricavi rispetto a chi non è inclusivo. Tale precetto può estendersi per altre situazioni, come i ristoranti, i negozi, i supermercati, gli hotel. E chiama in causa, dunque, anche chi non è ancora funzionale all’integrazione: investire su un pubblico ‘nuovo’ aumenta considerevolmente i proventi di un’azienda. L’applicazione di civiltà in merito al disabile come individuo passa anche nell’accettarlo come risorsa economica.

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Figlia disabile e madre sul cammino di Santiago: “Ma non siamo eroine”

Il cammino di Santiago di Compostela è una tappa internazionale sognata da numerosi viaggiatori. Un tragitto dal dispendio fisico non indifferente, con tratti puramente onirici, che attira l’attenzione di svariati curiosi. L’obiettivo? Riscoprire se stessi. Alla chiamata non hanno resistito neanche Angelica Malinverni e Caterina Novella, madre e figlia, la seconda con disabilità (ritardo psicomotorio non diagnosticato). Assieme ad altri 10 compagni d’avventura, le due hanno percorso il cammino di Santiago partendo da Finisterre, per un totale di 120 chilometri in 6 giorni. Com’è stato possibile realizzare questo itinerario? E cosa ne pensano le protagoniste riguardo a chi tesse lodi eroiche nei loro confronti? Lo abbiamo chiesto alla diretta interessata, la mamma Angelica.

Qual è la storia di questo viaggio?

“Il nostro cammino è iniziato nel 2005. Eravamo in vacanza a Capalbio (Toscana) e ci è stata regalata una spilla fatta a conchiglia con il simbolo di Santiago, riportante l’augurio di intraprendere prima o poi il cammino. In tutti questi anni, quel luogo ha continuato a chiamarci: arrivava una cartolina, un braccialetto o una lettera. Fino a quando l’anno scorso, parlando con due mie amiche, Cristina e Francesca, che stavano organizzando il viaggio con le loro figlie quindicenni, abbiamo progettato il tutto. Così il sogno si è realizzato”.

Com’è stato possibile realizzarlo?

“Abbiamo preso la Guida al cammino di Santiago per tutti, scritta da Pietro Scidurlo, un ragazzo disabile che notoriamente mappa le guide. Adesso, ad esempio, sta mappando la Via di San Francesco in Italia. Oltre al percorso, sulla sua guida ci sono segnati i posti dove dormire e i locali dove mangiare. Ci è stata di grande aiuto. Abbiamo fatto la vita da pellegrini un po’ più soft”.

La notizia ha avuto un ottimo riscontro sul web. Vi aspettavate tutti questi toni eroici?

“Non ci aspettavamo questo riscontro. Molti genitori ci hanno ringraziate più volte, in quanto loro non hanno il coraggio di partire. Io, invece, mi sono adattata ai cambiamenti quotidiani nell’essere madre di una persona con disabilità. Ci vuole un po’ di coraggio. Non è tanto il fatto di esser partiti con la disabilità, ma ad esserci adattati ad essa e al tipo di viaggio. Il riscontro è stato così inaspettato che, addirittura, sui social la diretta dell’arrivo è stata seguita da più di 5.500 persone. La gente si è commossa nel vedere quanto bene si è creato attorno a noi. È stato incredibile e meraviglioso, non me lo sarei mai aspettata. Addirittura la pagina Facebook Incamminoconcate neanche la volevo creare, mi sembrava come mettersi troppo in mostra. Invece una mia amica mi ha suggerito di farlo per lanciare un messaggio positivo per chi non ha il coraggio ed è ancora in casa – e purtroppo ce ne sono ancora tanti. Noi non siamo delle eroine. Sono una mamma che ha realizzato un sogno per sua figlia. Abbiamo compiuto un meraviglioso viaggio della maturità. Mentre i suoi compagni davano gli esami, mia figlia è uscita dalla quotidianità e si è adattata a un percorso di vita diverso. Non ha fatto nulla di eroico”.

Sulla questione genitoriale, secondo te, come mai ci sono tanti ragazzi con disabilità chiusi in casa? Sono i genitori a limitarli?

“C’è rassegnazione di fondo a una non-vita. Si paragona sempre la vita del disabile a una vita triste, buia e di sole difficoltà. Secondo me, invece, quando si arriva a una piena accettazione di quanto succede, puoi ricominciare a vivere pienamente. Ovviamente non è una favola, non sarebbe giusto dire così. Noi abbiamo una vita burocratica difficilissima, oltre a tutto il resto. Tuttavia, una volta che si raggiunge l’equilibrio, si può vivere benissimo. Con Caterina svolgo una vita normale, la porto dappertutto: a scuola, ai ristoranti, alle gare sportive dei miei nipoti e di mio padre. Ho una sola vita da vivere, non ne ho altre”.

In merito all’accessibilità del cammino di Santiago, vi siete informate anche per agenzie?

“No, perché quattro nostri amici avevano già fatto il cammino di Santiago. Abbiamo scelto solo di cambiare il percorso, perché dalla guida di Pietro risultava quella più mappata. Ci siamo rivolti alla nostra agenzia di fiducia giusto per prenotare il tutto”.

Qual è il vostro significato della Disabilità Positiva?

“La Disabilità Positiva è un’immagine meravigliosa della nostra vita. Caterina e io abbiamo scelto di vivere in modo positivo. Sapere che ci sono altre persone che stanno cercano di lanciare questo messaggio è incredibile e meraviglioso. La Disabilità può e deve essere positiva, non è un mondo a sé, ma fa parte di esso. Dobbiamo cambiare la visione della disabilità: la vedo come una missione personale”.

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La guida alle spiagge accessibili di Heyoka ospite a Sanità Informazione

La guida Heyoka dedicata alle spiagge accessibili d’Italia – disponibile gratuitamente nella nostra sezione dedicata – fa notizia. La redazione di Sanità Informazione, infatti, personificata da Diana Romersi e Davide Michelangeli, ha incontrato quella di Heyoka. Il motivo? Condividere, appunto, il nostro lavoro in merito ai lidi inclusivi.

L’intervista sulla guida Heyoka di Sanità Informazione

Sanità Informazione è un periodico di approfondimento legato ai temi della sanità e della salute. Oltretutto, è il primo videogiornale riguardante la sanità italiana. Una realtà le cui telecamere hanno varcato le porte della nostra redazione per conoscere Heyoka, la nostra mission e la guida alle strutture balneari inclusive. Insomma, per approfondire nel dettaglio il dietro le quinte del nostro lavoro.

“Siamo partiti da guide che avevamo controllato già negli anni precedenti e abbiamo cercato di capire quali tra i nominativi presenti fossero ancora attivi – ha raccontato Fabiola Spaziano, la nostra direttrice artistica, nell’intervista di Sanità Informazione -, quali tipi di servizi offrissero e se avessero una pagina web o un social media. Dove non abbiamo avuto risposta o la possibilità di verificare che il servizio era effettivamente presente, l’abbiamo depennato”.

“Nella nostra lista – ha aggiunto Spaziano – ci siamo resi conto che alcune Regioni seguono quelle che sono le indicazioni di legge per far sì che gli stabilimenti siano accessibili a chiunque e soprattutto a chi ha disabilità. Questo però solo in alcune Regioni; in altre non c’è questo tipo di attenzione”

Il sopralluogo presso una spiaggia accessibile di Anzio

Il reportage condotto da Sanità Informazione è poi proseguito all’interno di una spiaggia accessibile di Anzio, presente nella guida. Si tratta de “La Girandola Beach”, un luogo dedicato esclusivamente alle persone con disabilità. Attrezzata a regola d’arte, questa realtà laziale rappresenta un punto di riferimento importante per comprendere quali caratteristiche rendono una struttura balneare sufficientemente integrativa.

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Scrivere di disabilità con rispetto e ironia: parola di Barbara Garlaschelli

Barbara Garlaschelli è una nota scrittrice con disabilità, autrice nella sua versatilità di numerose opere, tra cui Sirena – Mezzo pesante in movimento, romanzo autobiografico di successo, tant’è ch’è stato stampato per quattro editori diversi. Recentemente, a febbraio 2019, ha pubblicato una nuova storia, Il cielo non è per tutti, dopo che, nel 2017, affrontò il tema del binomio sessualità-disabilità in Non volevo morire vergine. “Non generalizzo sul tema”, ci spiega al telefono Barbara Garlaschelli. “Ognuno ha la sua storia”.

Appunto, parliamo di Non volevo morire vergine, Barbara Garlaschelli. Come si può raccontare la disabilità senza cadere nel pietismo?

“C’è anche il problema opposto, si è passati dal pietismo al disabile visto come un eroe. Non abbiamo mai vie di mezzo [ride]. Come si fa? Bisogna essere dei bravi scrittori per affrontare qualsiasi tema. Con Non volevo morire vergine, ho cercato di essere molto onesta, raccontando il mio punto di vista, quello che penso su sensualità e disabilità. Secondo me, una delle chiavi di lettura per leggere il mondo è l’ironia, essere capaci di ridere su di sé, degli altri e con gli altri. E dissacrare certi temi che sono considerati tabù, come la disabilità e il sesso. Tra l’altro, questo tema lo avevo già affrontato nel 2015: avevo scritto una serie di finte lezioni su Facebook, Sex and disable people, da cui è nato un reading musicale scritto a quattro mani con l’autrice Alessandra Sarchi, ripresa ora sul mio sito Sdiario e lette da Viviana Gabrini. Forse Non volevo morire vergine ha un po’ origine da lì, da queste lezioni di sessualità e disabilità. Lezioni comiche, ovviamente”.

Ecco, l’importante è scherzare con la disabilità e non su di essa. Secondo Barbara Garlaschelli, esiste un limite da non varcare per scherzare con la disabilità?

“Il limite è quello del buongusto, dell’educazione e del rispetto. Deve esserci in ogni essere umano. Se io rispetto le persone, posso scherzare su qualunque cosa. Il rispetto lo senti, lo percepisci. Un conto è dissacrare e affrontare gli argomenti, un conto è essere sprezzanti, maleducati od ottusi”.

Inoltre, tornando al binomio sesso e disabilità, sembra un tabù di cui non bisogna parlare.

“È un tabù, si ragiona per stereotipi. Col fatto che siamo delle persone disabili, siccome il nostro corpo o la nostra mente in parte non funzionano, a loro volta si pensa che le nostre pulsioni non funzionino. C’è l’ignoranza di base di non conoscere. È il pericolo maggiore, e per combatterlo bisogna scriverne. C’è anche da dire che siamo in un paese cattolico, non gioca a nostro favore. Si crede che il disabile sia un angelo senza sesso. Quindi, generalmente, la sessualità o si tratta portandola in vacca, scherzandoci senza limiti, o non affrontandola proprio. Invece fa parte della vita di tutte le persone. Bisogna parlarne, soprattutto quando diventa un tabù, come fosse qualcosa da nascondere”.

Invece, per quanto concerne la tua recente opera, Il cielo non è per tutti, cosa ti aspetti?

“Mi aspetto di raggiungere il maggior numero di persone, perché i lettori sono il mio punto di riferimento. Non credo negli scrittori che scrivono per se stessi: tu scrivi perché speri che ti leggano. In questo romanzo, affronto temi che per me sono molto importanti. Racconto una storia di due ragazzini, Alida e Giacomo, due adolescenti, che stanno vivendo il periodo più particolare di una persona, che è quello dell’abbandono dell’infanzia e l’entrata ufficiale nella vita adulta. Il momento della morte dell’infanzia. Questi due ragazzi, entrambi con una famiglia disfunzionale, ad un certo punto decidono di fuggire da tutte le tematiche che vivono sulle loro spalle, perché non credono sia giusto che pesino su di loro in quanto giovani. Un altro tema che affronto è la mancanza di comunicazione all’interno delle famiglie e il fatto che esistono persone che fanno parte della nostra società non considerate, come Regina, la madre Alida, una donna albanese che di mestiere fa le pulizie nelle case degli italiani. Giacomo, invece, è un ragazzino italiano, ma anche lui vive una serie di problematiche da cui non sa come uscirne. La loro fuga, che non durerà tantissimo, sarà piena di accadimenti”.

In un momento storico come quello attuale per il libro, quant’è importante che l’opinione pubblica si avvicini alla disabilità come lettore?

“Il ruolo del lettore è fondamentale, avvicinare la lettura alle persone è difficile, lo è sempre stato, soprattutto per un popolo italiano, prevalentemente composto da non lettori. Adesso, con l’avvento dei social, ancora di più. Non ho una formula magica per avvicinare il lettore ai libri, se non che gli scrittori realizzino delle belle opere. Dovrebbe partire anche dalle scuole e dalle famiglie. Sono diventata una forte lettrice perché provengo da una famiglia di forti lettori. Tuttavia credo che tu non possa obbligare le persone ad avere una passione: leggere è una passione. Puoi avvicinarle alla lettura anche con un po’ di fortuna. Sto pensando alle scuole: obbligare qualcuno a leggere non paga moltissimo, non è semplice. C’è anche il discorso che il mondo dell’editoria sta cambiando: noi siamo un popolo di non lettori, ma tutti scriviamo, perché pensiamo sia una cosa semplice. Una risposta non esiste, tutto quello che posso fare come scrittrice è dare il meglio di me”.

Qual è il significato di Disabilità Positiva di Barbara Garlaschelli?

“Il significato che ho dato alla mia vita da disabile è non arrendersi. Col fatto che sono diventata disabile (a 15 anni per la rottura di una vertebra a causa di un tuffo in acque basse, ndr), ho sempre cercato di costruire la strada che avevo in mente. Tutto ciò ammesso che tu abbia un sogno da perseguire. Io ce l’avevo, era diventare una scrittrice. Ho continuato a costruire la mia strada nonostante l’incidente e la disabilità”.

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Il finale di Game of Thrones non garantisce una completa inclusione

Game of Thrones ormai è giunto al termine da diverse settimane, perciò possiamo discutere del suo finale. Tuttavia, se siete tra chi non ha concluso la serie, prestate attenzione, potreste incappare in qualche spoiler della serie targata HBO. A ogni modo, Game of Thrones ci ha regalato una delle più canoniche visioni di cosa significa evolversi in una società inclusiva. Purtroppo tale obiettivo non è stato raggiunto nella sua pienezza, in quanto ci sono delle riserve che – di riflesso – riguardano anche la nostra attualità.

Game of Thrones: la disabilità al comando

La serie televisiva Game of Thrones è abituata a emozionare i propri fan con colpi di scena di ogni tipo, ma mai nessuno si sarebbe aspettato quanto accaduto nell’ultima puntata: un mondo sorretto e governato da due persone con disabilità. Da una parte abbiamo Bran Stark, ragazzo su carrozzina diventato re della contea; dall’altra Tyrion Lannister, uomo con nanismo con il ruolo di Primo Consigliere della corona. Vale la pena sottolinearlo, la scelta di queste due figure non è nata per pietismo o raggiro, bensì per una plateale ammissione di valore dei due personaggi. Il primo è l’archivio storico dell’umanità, colui che è stato scelto come contenitore di sapere. Il secondo, invece, è sempre emerso per scaltrezza, furbizia e intelligenza: doti apprezzate anche dagli spettatori. Insomma, la Disabilità Positiva affiora chiaramente. Tuttavia, si tratta di un’inclusione sociale non propriamente completa.

L’inclusione sociale per metà

Quanto emerso dal finale di Game of Thrones, dunque, fa pensare che, nonostante i tempi medievali, le basi per una civiltà moderna ci sono tutte. La disabilità è diventata un aggettivo, una condizione, ma non una categorizzazione. Quindi, dov’è il problema? C’è una sorta di incoerenza culturale nella società pensata dal nuovo consiglio del regno. In pratica, due persone disabili ottengono alte cariche istituzionali anche in virtù della loro appartenenza nobiliare, escludendo di fatto ogni democratica elezione (che potrebbe coinvolgere cittadini normodotati e con disabilità sullo stesso livello). Quindi, siamo di fronte a un’inclusione sociale permeata per metà, dove il marchio governativo continua a essere una faccenda elitaria, e la società non dispone i mezzi culturali per creare un’integrazione completa.

Perché non ci possiamo accontentare

Il principio da cui nasce la nostra argomentazione riguarda il fatto che, attualmente, l’integrazione attuale non è mai garantita nella sua totalità, ma spesso si mette una pezza. Come a professarsi estimatori e difensori di equità sociale, senza però protrarre l’obiettivo fino alla sua reale conclusione. Un modus operandi, dunque, da cui si evince una base culturale che ancora non è in grado di elaborare un pensiero semplice: la Disabilità Positiva passa soprattutto per l’inclusione completa di ogni tipo di individuo, appartenente a ogni classe sociale. È semplice.