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Heyoka sarà al Festival della Cultura Paralimpica di Padova

Da martedì 5 a giovedì 7 novembre 2019, a Padova, si terrà la seconda edizione del Festival della Cultura Paralimpica. L’evento, organizzato dal Comitato Italiano Paralimpico, vuole approfondire e valutare lo stato attuale del movimento sportivo. Tra i vari ospiti ci sarà anche Fabiola Spaziano, direttrice artistica del nostro progetto.

Heyoka al Festival della Cultura Paralimpica

Heyoka sarà presente a partire dalle 11:30 alla Sala Nievo di Palazzo del Bo e interverrà al seminario sul linguaggio e la comunicazione sportiva. La nostra direttrice artistica avrà modo di partecipare al dibattito per presentare il nostro progetto. Nello stesso panel interverranno Claudio Arrigoni (giornalista RCS), Sandro Fioravanti (giornalista RAI), Sara Ficocelli (giornalista La Repubblica) e Carlo di Giusto (Direttore tecnico delle Nazionali di basket in carrozzina e commentatore televisivo).

Il programma completo

Come si legge nella nota stampa diffusa dal CIP, Padova sarà teatro di una “tre giorni di racconti, testimonianze, dibattiti, confronti, mostre, con al centro le parole dei protagonisti del mondo dello sport paralimpico e di tutti coloro che hanno affrontato questo tema, dal punto di vista scientifico, sociale, sportivo e comunicativo”. Lo scopo, ovviamente, è “cambiare la percezione del Paese sul tema della disabilità”.

Un traguardo che lo sport ha sempre saputo raggiungere, in un modo o nell’altro. A riprova di ciò, i numerosi atleti – oltre 40 – che si alterneranno ai vari panel previsti durante la manifestazione. Oltre al nome più noto, quello di Alex Zanardi, per esempio, saranno abbracciati anche i campioni mondiali del nuoto paralimpico di Londra. Tra alcune nostre vecchie conoscenze, poi, troviamo anche Patrizia Saccà.

Per scoprire tutti i protagonisti dell’evento, scarica il programma ufficiale.

Perché è stata scelta Padova?

La scelta di organizzare il Festival della Cultura Paralimpica nella città veneta non è un caso. Di fatto, nel prossimo anno Padova sarà la Capitale europea del Volontariato, oltre a ospitare una delle Università più inclusive d’Italia.

Fonte foto: CIP

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Uno Sguardo Raro 2020: anche quest’anno c’è il Premio Heyoka

Il Premio Heyoka sarà presente al Festival Uno Sguardo Raro, per il secondo anno consecutivo. Dopo l’ottima esperienza della scorsa stagione, di fatto, la kermesse cinematografica internazionale dedicata alle malattie rare e alla disabilità riabbraccia nuovamente il Premio Heyoka. Chiunque volesse partecipare con una propria opera audiovisiva, può inviarla entro e non oltre venerdì 30 novembre 2019 – come recita il bando.

Cos’è il Premio Heyoka

Per chi ancora non lo conoscesse, il Premio Heyoka è assegnato tramite votazione online al prodotto che più si avvicini al concetto della Disabilità Positiva. Cioè, chi ha espresso attraverso la propria arte i concetti di empatia, abilità, tenacia e resilienza, parole chiavi care ad Heyoka. Lo scopo del nostro riconoscimento è diffondere la comprensione della disabilità e l’abbattimento delle barriere fisiche e mentali che caratterizzano la nostra società.

Cos’è Uno Sguardo Raro

Uno Sguardo Raro – The Rare Disease International Film Festival è la rassegna cinematografica dedicata al tema delle malattie rare. La V edizione si svolgerà a Roma, dal 9 al 15 marzo 2020. Come ogni anno, l’obiettivo è realizzare un appuntamento di sensibilizzazione, durante il quale esperienze, professioni e conoscenze si incontrano e si fondono tra loro.

Così come il Premio Heyoka, tutte le categorie presenti alla kermesse (Cortometraggi italiani, internazionali e di animazione, Documentari, Corto/Spot di sensibilizzazione e istituzionale di Comunicazione in Sanità) mirano a raccogliere i lavori che meglio racconteranno cosa significhi vivere con una patologia rara. La sfida comune è affrontare tale argomento con punto di vista alternativo e darne una nuova immagine attraverso il cinema.

Novità: premi anche per gli sceneggiatori

Tra le novità presenti quest’anno, Uno Sguardo Raro apre le porte al mondo della sceneggiatura, con un concorso apposito. I vincitori di questa sezione parteciperanno a un laboratorio che culminerà con la realizzazione di un cortometraggio per l’edizione 2021 del festival.

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Sindrome di Ehlers-Danlos, perché i tweet di Sia sono così rilevanti

Sia ha dichiarato di avere la sindrome di Ehlers-Danlos. O meglio, l’ha twittato. L’attenzione internazionale su questa rara malattia è stata riaccesa da un’artista di ampia fama, che automaticamente ne diventa espressione di sensibilizzazione. Perché è così importante tutto ciò?

La sindrome di Ehlers-Danlos ha un volto internazionale

La sensibilizzazione è un’arma complessa da impugnare, soprattutto per condizioni rare come l’Ehlers-Danlos. Parlarne risulta sempre complesso, in primis perché, tra le cronache quotidiane, l’opinione pubblica non la sente attuale. Fintato che un vip o un personaggio pubblico con notevole fama non si faccia carico della battaglia sociale. Alle volte indirettamente – non essendone coinvolto a livello privato -, altre volte direttamente, come nel caso di Sia.

A questo punto, l’artista australiana assume una connotazione davvero interessante nel panorama internazionale. Di fatto, volente o nolente, Sia è diventata il volto della sindrome e, in quanto tale, può convogliare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale verso tale condizione. Così facendo, molte più persone potranno conoscere e imparare le caratteristiche dell’EDS.

Il valore del dinamismo social, quindi, assume contorni cruciali per la semplice induzione alla sensibilizzazione. L’argomento diventa mainstream, cioè in grado di essere trattato con ampio spessore. Tutto ciò grazie a Sia che, banalmente, attraverso dei tweet, ha regolato la luce dei riflettori su una determinata (e nuova?) tematica.

La possibile Disabilità Positiva di Sia

Perciò, al momento, l’artista di Adelaide è chiamata a un compito molto arduo: diventare il punto di riferimento per la sindrome di Ehlers-Danlos. Un modus operandi che può far solo del bene nell’argomentare la malattia a livelli più noti dell’opinione pubblica. In questo modo, si potrà esprimere una Disabilità Positiva in grado di generare maggiore dibattito e attenzione nei confronti di qualsiasi notizia riguardante la patologia in questione.

Gioia Di Biagio, la rappresentanza italiana

Anche nel Bel paese abbiamo il volto della sindrome di Ehlers-Danlos. Ed è il volto di Gioia Di Biagio, artista polivalente e nostra Heyoka. Lei stessa, all’interno del nostro gruppo Facebook ufficiale, ha commentato la notizia di Sia con grande speranza: “Grazie Sia per esserti messa in gioco riguardo all’EDS, non è facile confessare ai media di esser ‘diversi’ , di soffrire. Mi spiace che questo dolore cronico che ben conosco influisca sulla tua vita, sei una grande artista. Spesso il dolore, quello inspiegabile, per esser condiviso e compreso viene espresso attraverso l’arte”.

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Abbiamo bisogno di maggiore cultura sulla disabilità

Il concetto della cultura sulla disabilità è recentemente emerso all’interno del nostro blog. Precisamente, lo abbiamo affrontato in una chiacchierata con Simoncino, secondo cui “bisogna far conoscere la disabilità alle persone”. In effetti, il rapper non ha tutti i torti. Siamo di fronte a una frase che apre la strada a numerose riflessioni. Soprattutto in un momento storico nel quale la cultura deve sapersi reinventare. Tale percorso lo abbiamo provato ad affrontare anche su Heyoka, con diversi risultati.

La cultura sulla disabilità oltre gli stereotipi

Un primo approccio che dovrebbe concretizzarsi verso la cultura alla disabilità è la lotta agli stereotipi. Per esempio, andrebbe riscritta l’idea che la disabilità sia composta esclusivamente da individui eroici, poiché il disabile è uno sfortunato angelo sceso in terra. Una persona che non riuscirà mai a vivere la propria esistenza pienamente e con orgoglio. In verità, questa è una speculazione a tutti gli effetti, basata sullo stereotipo comune dell’invalido come ‘poveretto’.

Studiamo il caso di Angelica Malinverni e Caterina Novella, madre e figlia, la seconda con disabilità, che hanno percorso assieme il cammino di Santiago di Compostela. A fronte di questo viaggio, le due sono state dipinte da molti con toni eroici. “Noi non siamo delle eroine – ci disse la donna in una nostra intervista -. Sono una mamma che ha realizzato un sogno per sua figlia. Abbiamo compiuto un meraviglioso viaggio della maturità”. In sostanza, questa storia porta in auge un tema (l’accessibilità) per bilanciarlo nell’insieme sociale. Cioè, non si sofferma troppo sulla disabilità in essere, con il rischio di emarginarla, ma indaga il rapporto familiare alla base della realizzazione di un progetto di vita, richiamando a sua volta l’idea di un mondo che rispetti l’integrazione.

Il ruolo dei genitori è prezioso

Tra l’altro, Angelica non è l’unica storia sull’importanza del lavoro di una famiglia nel veicolare cultura sulla disabilità. Non solo all’interno, ma anche verso l’esterno, insegnando quanto la diversità debba rientrare nel concetto di inclusione di una società contemporanea. Basti pensare a quando Ilary, una bimba disabile, sfilò su un campo di Serie A insieme al giallorosso Dzeko prima del match tra Roma e Udinese. “Ha fatto comunque una cosa che hanno fatto tutti i bambini – ci ha precisato Federica D’Orta, la mamma di Ilary -. Hanno fatto vedere che è una cosa normalissima e lei si è divertita con tutti gli altri bimbi”.

Un’esposizione mediatica che porta con sé, inoltre, un significato potente per la cultura sulla disabilità: bisogna creare consapevolezza su di essa. Questo stesso messaggio è affiorato durante la recente edizione estiva del Resurrection Fest, dove Álex Domínguez, un 19enne con disabilità, è stato alzato al cielo dalla folla, la cui immagine immortala dal fotografo Daniel Cruz è diventata virale in tutto il mondo.

E quindi?

Per fare cultura alla disabilità, bisogna lottare per la propria emancipazione, per informare, per i propri diritti. Concetti insegnati e professati da Stefano Pietta, Antonio Tessitore e la coppia di Asperger Way. Tutte personalità che, nel loro piccolo, stanno contribuendo a un concetto ancora più grande: riconoscere l’esistenza della disabilità. Dobbiamo parlarne, ogni giorno. Perché si tratta di essere umani. E l’umanità non deve essere abbandonata in un angolo.

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Riflessioni sul bagno disabili: lottare contro la discriminazione

Il bagno disabili pubblico è un servizio al cittadino, e come tale deve essere garantito nella sua interezza. Tutto ciò, però, non accade. Pensate, ad esempio, quando uscite a cena con gli amici, andate al cinema con la famiglia o siete in viaggio fuori città. Occasioni nelle quali si possono riscontrare non solo delle inaccessibilità gravi, ma anche situazioni al limite dell’assurdo: come il bagno disabili preposto unicamente in quello delle donne.

La (doppia) discriminazione sul bagno disabili

La foto d’apertura del nostro articolo arriva dall’Emilia-Romagna, precisamente da un bar di Perino. Non è un semplice episodio, ma una moda più diffusa di quanto si creda. Anche a Roma, all’interno di una nota catena di fast food, diversi mesi fa, è stata riscontrata una discriminazione simile.

Perché sì, un bagno disabili disposto unicamente nel bagno delle donne è una discriminazione in piena regola. Come mai? Il servizio igienico dedicato alle donne sarà utilizzato in egual misura anche dagli uomini (disabili). In soldoni, né la persona con disabilità e né la donna in sé sono rispettate. La prima figura non è pensata come individuo in senso stresso, la seconda non ha garanzie di trovarsi in un luogo di privacy effettiva.

Sostanzialmente, il bagno disabili non dovrebbe essere un servizio a sé o un loculo da relegare in un angolo. Nel rispetto di ogni tipologia di persona, bisognerebbe ricordare che la distinzione uomo/donna intercorre anche tra i disabili, e come tale andrebbe rispettata.

Da qui per migliorare la Disabilità Positiva

La società contemporanea è formata da un’insieme di ragionamenti grazie ai quali si evolve. Alla base sussiste il rispetto dei diritti umani, riscontrabili principalmente nella garanzia dell’individuo in quanto persona. Un principio basilare nella quotidianità, constatabili in azioni semplici, come andare in bagno.

Di per sé, per i disabili, trovare un bagno accessibile è un’impresa. Se poi la sua disponibilità è ulteriormente limitata, la situazione si aggrava. Bisogna sempre partire da diatribe simili per rendere tangibile la Disabilità Positiva. Piccole (ma grandi) questioni, come la tutela della propria individualità in quanto persona.

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Sì, parliamo di omosessualità e disabilità con Nadir Malizia

Nadir Malizia è un 42enne italiano di Marotta di Mondolfo (Marche) con tetraparesi spastica. Il suo nome ha ottenuto una buona risonanza pubblica grazie alla sua attività di scrittore. Tra le opere, a emergere con grande notorietà è Vita su quattro ruote, autobiografia che ha ottenuto anche la postfazione di Platinette. Nel suo primo libro (al momento è in lavorazione il terzo), Nadir Malizia affronta il tema delle barriere architettoniche e mentali, con ampio spazio al dualismo omosessualità e disabilità. Ci siamo fatti una chiacchierata con lo scrittore proprio su questo argomento.

Nadir Malizia, come mai hai deciso di raccontare la tua vita attraverso il medium del libro?

“Credo sia importante farlo. Mi è sembrato giusto non lasciare nel cassetto la mia storia, ma poterla raccontare ed essere di aiuto anche agli altri, che magari devono ancora trovare quel quid in più per affrontare la disabilità. A ogni intervista dico che ogni storia è soggettiva, non bisogna mai giudicare. Io forse ho avuto quel coraggio o quella positività per affrontare il tema in maniera diversa perché, attraverso la mia disabilità, ho trovato molti spunti da portare avanti. È stato il mio trampolino di lancio [ride]. La mia sfortuna è stata la mia fortuna”.

Nel libro affronti il tema dell’omosessualità. Come mai hai voluto far emergere questo argomento? Come se ne parla in relazione alla disabilità?

“Se n’è cominciato a parlare, ma non abbastanza. Ho deciso di affrontare il tema dell’omosessualità all’interno della disabilità perché, al tempo dell’università, ho conosciuto i ragazzi disabili omosessuali che facevano parte dell’associazione LGBT. Il presidente ha voluto che io parlassi della mia testimonianza. Anche perché ho notato che molti di questi ragazzi, purtroppo, non riuscivano a essere ‘sereni’ con il proprio orientamento sessuale. Sostenevano che, in quanto disabile, fosse per me più difficile portare questo ‘peso’ dell’omosessualità. Si chiedevano cosa la gente fosse portata a pensare”.

Il rischio è di esser discriminati due volte.

“Esatto. Mi hanno spesso chiesto come faccio, però non so cosa rispondere. Forse è una cosa naturale. Ci sto bene, sia nella mia omosessualità sia nella mia disabilità. Negli anni sono riuscito a trovare un mio equilibrio. Come sostengo sempre, se uno trova il proprio equilibrio, riesce a stare bene con gli altri, indipendentemente da com’è”.

Esiste una situazione paradossale nel nostro paese: facciamo fatica ad integrare la diversità. Quant’è importante, quindi, che si parli di certi temi?

“Importante perché la diversità è un valore fondamentale, in quanto ognuno di noi è diverso. Se ognuno di noi imparasse a portare la propria testimonianza, questi fattori di omosessualità o disabilità non vivrebbero di pregiudizi“.

Ti è mai capitato di esser giudicato prima per il tuo orientamento sessuale e per la tua disabilità e poi come persona?

“Sì, parecchie volte. Negli anni ho imparato a difendermi. La risposta più consueta che ripeto è la stessa: ‘Io mi sento uguale agli altri, ho una mia diversità e sto bene con me stesso’. Se tu non stai bene con te stesso, non stai bene con gli altri”.

Sei mai stato trattato in maniera pietistica?

“Altroché, spesso. Specialmente in età scolastica“.

Come si può cambiare tutto ciò?

“Raccontando la propria testimonianza, mettendoci la faccia e, soprattutto, informare la società in modo positivo. Facendo capire che, sì, nella disabilità ci sono le difficoltà, però si possono superare soltanto mettendo anche la società alla prova. Solo così possiamo preparare la società e i giovani a un domani ‘aperto’ a qualsiasi tipo di diversità“.

Qual è il concetto della Disabilità Positiva di Nadir Malizia?

“La disabilità significa avere un’altra abilità. Io ho altre abilità che si trasformano in positivo”.